Come una valle mi preparo alla vibrazione dell’eco
pronta alla sua scomparsa.
Ciò che scompare infatti indica un luogo più interno
più profondo per farsi seme.
E il cielo resta cielo nell’attesa
mentre dai deboli moti casuali dell’aria
componi memoria nuova
immolando luoghi stremati dai nomi.
Lasciati andare – srotola adesso
i santuari della tua perenne identità
scoperchia i tesori armati
allenta i cavi tesi tra i boschi
annuncia il vuoto dei sagrati.
Faccio due passi nello svanimento
e ciò che è davanti è da anni dietro ai miei occhi orientali.
E intanto di infinite sparizioni la somma
genera nel vuoto movimento
che scuote e scende nel suono
e non è radicamento ma tempo sconosciuto
come – nel moto ascensionale degli addendi
l’arrivo della prossima raffica di vento.
Sottratto a ciò che vedo sei davanti a me
specchiato nel tuo doppio celeste
parlo alla tua fine mentre sono ancora prato
perdo e riposiziono testarda lo sguardo.
Travolti dal vento verticale:
gli inquisitori le case le opinioni virtuose
gli sperduti le chiese le verità ricomposte
gli amici di tutti le menti mostruose
i fienili vuoti gli animali inutili
i ceri accesi le spente spose.
Spazzati: lo spreco di storia
il baratto di miseria per miserie
il tanto difeso dire
rimane la grazia dello scheletro invisibile e sonoro.
Ciò che scompare infatti rivela un luogo più interno
più profondo per farsi seme.
Sparisci! – passami dentro!
il paese sfinito
le meschinità altere l’odore di chiuso
il metro di terra minato
i nomi che non trovo il fiato
dei corpi sbarrati – io però
cerco un’altra materia a sostenere la geografia
che porto tatuata sotto la pianta dei piedi.
Archivio categoria: Premio Baghetta
Finalista Baghetta 2013: Davide Nota – La rimozione, Sigismundus 2011
Nel cuore il sole immette un sortilegio
come un fantasma buono d’ambo i sessi
ed è una voce che traluce il nome
dentro la stanza che traduce oggetti.
Tu sei con loro nella storia vaga,
nel tentativo assurdo e il privilegio
di esistere per dote o per difetto
come un transex arcano per la strada
di chi non fa rinuncia e tutto perde,
di chi la morte preferisce a iosa
piuttosto che la corte vomitosa
dei lividi sorrisi e delle merde.
Tu sei nel rosso dove adesso appena il verde
lucore delle foglie sfiora il dosso,
ti chiese l’antenato di descrivere
la neve sopra il corpo e le radici.
Finalista Baghetta 2013: Dario Bertini – Frequenze clandestine, Sigismundus 2012
La pioggia, cadere, sa farlo bene:
non le importa se poi qualcuno
resta a osservar la dietro un vetro
di una casa o il finestrino di un treno
in viaggio, un tardo pomeriggio estivo,
con l’aria immobile e pesante,
e ombrelli gialli, rossi, a scacchi
tenuti aperti in mezzo ai campi
dagli spaventapasseri: più lontano sorride
una bambina, la figlia del fattore forse,
a piedi scalzi, fra le angurie a cercarne
una rotonda per la merenda, fresca
e sembra di vederla sorridere davvero
coi semi neri fra i denti bianchi
affilati come la prima grandine della stagione
Finalista Baghetta 2013: Franco Loi – Lader de Diu, Ladolfi 2013
Û traversâ la vita per tuccà
quj làver che nel rösa san la rösa.
Stringevi cum’un sògn quèl so tremà
e mi sentivi mì e mì la rösa.
Pien de paüra nüm se sèm vardâ
e cunussü, al dèrvess de la rösa,
i làver cun i làver d’aria aj fiâ.
Inturna el mund ventava un gel luntan.
Franco Loi, Lader de Diu, Ladolfi 2013.
Ho attraversato la vita per toccare / quelle labbra che nel rosa conoscono la rosa. / Stringevo come un sogno quel suo tremare / e mi sentivo io e io la rosa. / Pieni di paura noi ci siamo guardati / e conosciuti all’aprirsi della rosa, / le labbra con le labbra d’aria ai respiri. / Intorno il mondo ventava un gelo lontano.
Finalista Baghetta 2013: Marilena Renda – Ruggine, Dot.com Press 2012
Un foglio lamierato è una porta e si squaderna
come manoscritto apparecchiato alla decifrazione.
I confini vanno disegnati le notti dopo le mattine,
tracciati con gesso, fatti calpestare da passi sulla scena.
Un limite non è limite se il freddo non lo misura.
Le mura sono carta da zucchero, lasciano traspirare
i singulti invisibili delle vite altrui, i soprassalti,
i terrori, gli effluvi. La danza riscalda lo spazio tra
monade e luce, tra albero e zinco, tra legna e brace.
Il purgatorio è una sostanza fitta come manna.
Le case sono bambole assembrate su e giù.
Le case sono bambole senz’occhi, che d’un tratto
hanno perso la carne rosaspina. Gli inguini, i polsi,
i visi allisciati, le gambe, le pieghe del volto
sono abitati dal morbo della rapprensione.
La baracca copre e discopre, offende e difende:
l’amianto infetta e punge, il cemento pesa, è amico,
è un’anima di muratura presa tra peste e aria,
e nel mezzo una stanza, da cui non passa il mondo,
e non ha finestre, e nemmeno tocca il cielo.
Amianto bianco, fibra stellare, non sente
il peso del calore che abrade, si tende come lana,
lana di salamandra, non muore e non si strappa.
La sua purezza è la nostra corruzione,
il suo fuoco inestinguibile è vulcano che svapora.
La bambina lì dentro, l’amianto la battezza, la consacra,
la veste e le dà forma, la chiude in una cellula.
L’amianto la rischiara al posto della luna,
è fiammifero e fosfene, è culla di polietilene.
Al buio i suoi occhi brillano quasi fossero crisoliti.
Finalista Baghetta 2013: Anna Maria Carpi – Quando avrò tempo, Transeuropa 2013
LIBRI, LIBRI, ogni casa ne trabocca,
libri dei tempi del grande scrivere
dalla convinzione
che abbia un senso il cuore
e i personaggi un destino
che arriva agli altri,
a una santa comunione del sentire,
e così forse era.
Libri di questi giorni: una valanga
di convinti di niente,
com’erano venuti se ne vanno.
Oggi di grande non c’è che l’oblio,
questa coperta misericordiosa,
ultimo segno di un divino in terra.
Al caldo al buio nella cecità,
solo qui sei con gli altri.